Paris 13
Quello che non vi hanno ancora detto su La Tour Paris 13 è che sarebbe davvero il caso di arrivare prima dell’orario d’apertura (suggerisco per le 10.30-11) senza dimenticare di portare viveri e acqua, perché probabilmente nel week-end resterete in coda fino a pranzo. Motivo per cui vi conviene andarci in compagnia (così avrete qualcuno con cui sfogarvi o darvi il cambio per andare in bagno). Ve lo raccomanda una che non ha fatto niente di tutto ciò e per questo è rimasta più di 4 ore in piedi senza bere e senza pisciare (con la sola compagnia di Mos Def nelle cuffie).
Lo dice il nome: La Tour si trova nel 13esimo arrondissement di Parigi, quartiere popolare in continua evoluzione e ricco di contrasti affascinanti (da Chinatown agli squats, dai cafés sulla Senna ai grattacieli). Il posto giusto per un palazzo di 9 piani dipinto da cima a fondo.
Il 13esimo arrondissement fa pensare un pò a Berlino, perché è pieno di nuove costruzioni ed è un mix di generi e atmosfere, da chinatown agli squats, dai cafés sulla Senna ai grattacieli. Io ci andavo per il corso di teatro, per frugare tra le chinoiseries… ma soprattutto a bere vino negli squats o lungo la Butte-aux-cailles. A proposito, vi dice niente questa via? Dà il nome a una battaglia della Comune di Parigi, e infatti alla Commune è intitolata la piazza che vi si incontra. Un luogo di culto della rivoluzione! Va bè, l’ho fatta un pò lunga per farvi “annusare” che La Tour sorge nel posto giusto.
E adesso entriamo
A partire dalle facciate esterne, La Tour ospita interventi di artisti da tutto il mondo: El Seed, David Walker, Ethos, C215,Ludo e Dan23 per fare alcuni nomi, e un intero Piano dedicato alla scena italiana, curato da Le GrandJeu. Anche il Writing è degnamente rappresentato dal mitico Cope2, dalla nuova scuola di Dado, Peeta e Joys e dalle fortuite tag sparse in giro (Supe FMK per dirne uno).
Più che una mostra, è una fenomenologia della street art. Ciò che colpisce al primo impatto è l’incredibile inventario di stili, tecniche e codici figurativi. Si va dallo spray ai gessetti, dall’incisione del legno alla lavorazione della carta, dall’illustrazione alla calligrafia, dagli stencil ai poster, dal Writing alle installazioni. Da muro a muro, dialogano filosofie molto diverse fra loro: temi militanti ma anche sofisticati studi formali, ricerche materiche quanto progetti figurativi, sperimentazione di linguaggi e invasione dello spazio o ancora pura old school…
La Tour è una vera esposizione “street”: gratuita, senza guardiani all’interno che ti seguono come stalker o che si impolverano sulle loro seggioline. Niente laser, niente vetri di protezione, niente cordini, niente di niente: ti potevi spalmare sui muri se volevi.
I muri non si spostano facilmente nei musei, non si lasciano incorniciare e spesso nemmeno si preservano: vengono ricoperti, aggrediti dagli agenti atmosferici e persino abbattuti (anche la Tour sarà presto demolita). In questo senso sì che i muri sono “esposti” allo sguardo di tutti e al caso. Nonostante sia nata nell’era della riproducibilità tecnica (ed esplosa nell’era digitale), non si può capire la Street Art restando sui social networks! La Tour ce lo ricorda, mettendo in gioco anche il nostro corpo: bisogna spostarsi in un angolino per avere la visione completa di una stanza, avvicinarsi per osservare i dettagli, scendere le scale per proseguire l’esplorazione, scavalcare un ostacolo… e a seconda dell’orario in cui la visiti, la luce cambia e così la nostra percezione dei colori. Si può dire che la mostra curata dalla Galerie Itinerrance ha saputo rispettare l’anima dell’arte urbana (senza biglietto all’ingresso, senza guardiani né protezioni varie, senza comodi sponsor). L’enorme successo di questa iniziativa – la coda da fare per entrare è sorprendente, persino per una città come Parigi – dimostra che la Street Art è la vera arte popolare dei nostri tempi.
Il Piano
Il Piano – così LeGrandJeu ha chiamato l’étage italien – l’ho trovato il più elegante. Nonostante le reazionarie politiche nostrane, la street art Made in Italy continua a fare la sua porca figura. Lo stesso vale per il writing, rappresentato da un maestro come Dado (che da bolognese adottiva non posso non sbandierare).
Morale della favola
Non si può più negare che la street art sia l’arte popolare del nostro tempo. Un’affluenza così vasta e variegata di pubblico parla da sola, o meglio dimostra che la street art è in grado di parlare a tutti.
Per il Graffiti Writing andrebbe fatto un discorso a parte trattandosi di un movimento a sé, con proprie regole di iniziazione ed evoluzione. Il Writing non vuole essere per tutti, e va bene così. Nessuno vi aiuterà a riconoscere le lettere, potete starne certi! Non è un caso se i tag lasciati in giro non se li filava nessuno… invece guardate qua che Supe! A dirla tutta, un writer difficilmente avrebbe aperto questo articolo… per questo l’estetica dei tag, dell’evoluzione del lettering, del bombing e delle cole di spray la rimando ad un’altra occasione.